Da ieri è disponibile il nuovo album di Ethel Cain, Willoughby Tucker, I’ll Always Love You. Titolo che, nella sua semplicità, annuncia chiaramente quale sarà il tenore dei settanta minuti abbondanti di musica che ci aspettano. Senza un motivo, adoro pensare che lo si legge con l’enfasi su Always, ma può essere che io sia un inguaribile romantico. Come sempre.
Avevo grandi aspettative per questo disco, complice il fatto che sono passati tre anni da Preacher’s Daughter, una di quelle opere che entrano dal nulla nella mia vita e la sanno ribaltare con ogni singolo ascolto. Allo stesso tempo, però, Preacher’s Daugher aveva resto le mie aspettative piuttosto esigenti, per cui è difficile negare che con Willoughby Tucker (d’ora in avanti abbrevio per comodità) temevo di rimanere deluso.
Ethel Cain ha composto altra musica a suo nome oltre a questi due album, ma lei stessa considera Willoughby Tucker propriamente il suo secondo disco, perciò mi piace regolare le aspettative in base alle sue dichiarazioni. Ma, diciamolo, le regolo anche in base al fatto che niente di quello che ha fatto prima e dopo Preacher’s Daughter mi ha conquistato per davvero. Dopo tanti, e mai troppi, ascolti, Willoughby Tucker inverte questa rotta e posso tranquillamente dire che se non siamo dalle parti del precedente, poco ci manca.
Messa da parte la mia poco interessante opinione estetica, vorrei soffermarmi su cosa significa Willoughby Tucker per me in questo periodo. Di musica ne esce tanta e ne ascolto tanta, ma in che senso Ethel Cain ha contribuito alla mia catarsi? Cosa c’entra quello che sto vivendo e come lo sto attraversando con questo disco in particolare?
Senza scendere troppo nel personale, diciamo che Ethel Cain sembra stia raccogliendo pezzi che ho lasciato per strada negli ultimi mesi per comporre un puzzle che è più chiaro a lei che a me. Proprio la mancanza di chiarezza mi spinge a tornare a Willoughby Tucker ancora e ancora, perché a ogni ascolto sento un nuovo pezzo andare a incastrarsi perfettamente. Nelle parti strumentali e nei silenzi, è come se mi fosse chiesto di prendermi il giusto tempo per guardare di nuovo al puzzle con una maggiore consapevolezza.
Cosa pretenda da me Ethel Cain non mi è dato saperlo. La storia di Willoughby Tucker non è felice e solo a tratti rispecchia la mia vita recente. Quei tratti sono però quello di cui avevo bisogno, ora più che mai. Esattamente come c’era riuscita con Preacher’s Daughter, Ethel Cain ritorna per riposizionarmi nel mio percorso indicandomi una nuova strada. Si riparte, dunque. Un’altra volta. Come sempre.