Della mia recente scissione da Anonymous for the Voiceless (AV d’ora in avanti) ho già scritto, dunque non mi starò a ripetere in merito. Dicevo anche che non avevo intenzione di smettere con l’attivismo e che ero alla ricerca di una realtà più vicina al mio sentire per poterlo riprendere senza dover rinunciare a niente di me.

Bene, da ieri sono ufficialmente entrato a far parte di Ribellione Animale insieme ad alcune delle persone con cui avevo lasciato il capitolo locale di AV. Ma perché proprio Ribellione Animale e non altri movimenti o organizzazioni?

Dico subito che ci ho messo diverso tempo a convincermi che il modo di agire di Ribellione Animale facesse al caso mio. Due le ragioni in particolare:

  • conoscevo Ribellione Animale solo superficialmente;
  • conoscevo ancora più superficialmente il concetto di disobbedienza civile non violenta.

La prima ragione deriva da un uso frettoloso dei canali social di Ribellione Animale, attraverso i quali mi ero dato l’impressione, clamorosamente infondata, di un movimento interessato soprattutto a creare disturbo senza che le conseguenze di determinate azioni arrivassero da qualche parte in maniera efficace. È bastato un colloquio con il gruppo di accoglienza di Ribellione Animale per capire quanto teoria e prassi si intreccino con intelligenza e passione in tutto l’agire del movimento.

La seconda ragione si ricollega alla prima e deriva da un altro errore di valutazione da parte mia. Forse perché ancora scottato dall’esperienza negativa con AV, avevo dimenticato la storia delle vittorie che la disobbedienza civile non violenta è riuscita ad ottenere. Intralciare il quotidiano svolgimento di eventi così da penetrare nella routine delle persone per destabilizzarne la percezione, cosciente o incosciente, dello status quo e della sua complice accettazione è il modo più efficace per fare pressione sulle istituzioni che ogni giorno lo rinforzano, quello status quo, e respingono chiunque lo metta in discussione.

È da quando ho lasciato AV che non ho smesso un giorno di riflettere su tutto questo. Ho trovato utile ripassare l’operato di figure chiave come Stokely Carmichael e Angela Davis, ma ancora più utile mi è stato leggere Astra Taylor, nello specifico The Age of Insecurity e, soprattutto, il volume a quattro mani con Leah Hunt-Hendrix, Solidarity.

Proprio la solidarietà trasformativa che Taylor e Hunt-Hendrix tematizzano nel loro testo mi sembra essere la direzione intrapresa da Ribellione Animale. Una solidarietà con la quale non si tratta di fare di noi un’unità esclusiva in conflitto con un antagonista da annientare. Piuttosto, una solidarietà con cui costruire insieme uno spazio che valorizzi ogni differenza e che permetta di relazionarsi in modo agonistico con l’avversario consensualmente individuato. Riprendendo le parole di Taylor e Hunt-Hendrix, non dobbiamo mai dimenticare la capacità che l’essere umano ha di cambiare. Non è in gioco l’eliminazione di un antagonista, quindi, quanto la profonda trasformazione di un avversario.

È da qui che intendo ricominciare. È così che voglio continuare.