Non so mai come qualificare il mio rapporto con i social. Da un lato non perdo occasione per criticarne la superficialità della gran parte dei contenuti e insultarli per il tempo che mi fanno perdere; dall’altro, c’è una percentuale più o meno grande di valore aggiunto alla mia vita grazie ad essi. Senza i social, per esempio, non sarei mai incappato in Martina Miccichè e non avrei mai saputo dell’esistenza del suo libro Femminismo di periferia.
Miccichè è una scienziata politica, una fotoreporter e un’attivista dall’approccio intersezionale e antispecista. Scrive una newsletter di nome Buccia e a me sembra che non si fermi mai, neanche per tirare il fiato. Chi l’ha vista presentare Femminismo di periferia dal vivo parla di serate travolgenti ed esperienze intense dove la rabbia appassionata dell’autrice emerge con tutta la sua forza.
È pur vero che bastano poche pagine del libro in questione per percepire con quale umore Miccichè stia scrivendo. Partendo dal quartiere milanese in cui è cresciuta, la Comasina, l’autrice analizza tutte le implicazioni della tremenda opposizione centro-periferia. Cosa significa vivere in centro se non essere al centro? E per converso, che impatto ha esistere fuori da esso? Dal suo essere socialmente costruita al bisogno di de-costruirla collettivamente, la relazione centro-periferia investe spazi che non sono solo geografici, ma esistenziali, economici e, prima di tutto, politici. I corpi umani e non umani intrappolati nella distanza dal centro sono segnati da una differenza che ne sancisce lo statuto ontologico inferiore rispetto a quello di chi gode del privilegio di poter usufruire del centro. Esistere fuori da esso, dunque, è anche resistere ad esso.
La restrizione degli spazi vitali e la riduzione del valore sociale di luoghi e corpi è comprensibile solo se le si osserva da più punti di vista. Miccichè, allora, lavora in modo da non concentrare il proprio sguardo su un’unica limitante traiettoria. Per capire le vite ai margini è necessario prima capire cosa sono quei margini e le conseguenze che abitandoli ci si porta dietro. Si nasce marginalizzati o lo si diventa? Si vive in periferia o si è la periferia? Il fuori messo a tema qui è un al di là del centro che quest’ultimo sceglie, ogni giorno, di allontanare sempre di più. Davanti alla periferia il centro si volta dall’altra parte, ne rifiuta le ragioni e contribuisce ad indebolirne le certezze e le sicurezze in nome di uno status quo che si sceglie, perentoriamente, di non mettere in discussione.
Genere, razza e specie sono le categorie con le quali Miccichè interpreta la periferia, ma è anche grazie ad essa che la marginalizzazione di determinate categorie può essere colta nella sua complessità. Il maschilismo che soggiace all’organizzazione capitalistica del centro si traduce ai margini con esperienze che diventano chiare solo se illuminate da chi, in quei margini, è cresciuta guadagnando, volente o nolente, la prospettiva giusta. La violenza di genere in tutte le sue sfaccettature non è una prerogativa inspiegabile della periferia, ma è resa possibile e sostenuta dal centro che, separandosene consapevolmente, le permette di svilupparsi togliendole visibilità. Il razzismo che esclude da qualsiasi garanzia sociale ed economica è incluso dal centro come necessario correlato da espellere, in modo da assicurare il livello minimo di decoro richiesto per rimanere centro in quanto tale. Rimossi, referenti assenti, gli animali non umani costretti nella macchina di produzione sono confinati nella periferia, ridotti a cose per diventare oggetti di consumo, mentre il centro antropico concede appena un poco di spazio agli altri non umani, quelli che ha selezionato per sé.
Sono cresciuto in una periferia che pensavo non avesse troppo in comune con la Comasina di Miccichè e che mi ha nascosto molte delle realtà descritte in Femminismo di periferia. Oggi che da anni vivo altrove, è solo grazie a questo libro che ho imparato a vederne tutte le contraddizioni, a riconoscerne le eccedenze, a biasimarne le omissioni. Solo adesso capisco che tutto quello che mancavo di vedere era costruito per non essere visto. Solo decentrandomi ho potuto vedere il centro.